Il Progetto Grace

Il progetto LIFE Grace ha la finalità di promuovere la conservazione degli habitat seminaturali della Rete Natura 2000 (* 6210 Festuco-Brometalia; * 6220  Thero-Brachypodietea  * 6230 Nardus praterie) accomunati dalla necessità del pascolamento quale condizione per evitarne il logoramento o la perdita. Questi habitat stanno infatti degradando ad arbusteti che, a seguire, diverranno bosco comportando una semplificazione della biodiversità naturalistica che li caratterizza. Si tratta di habitat presenti nella Regione Lazio per decine di migliaia di ettari, sia su matrici calcaree che vulcaniche, il cui tratto unificante è una ridotta profondità del suolo fertile, tale da non permettere la lavorazione meccanica a fini agricoli: l’unica forma sostenibile di utilizzazione è pertanto quella del pascolamento.  In gran parte dei casi il pascolo viene attualmente praticato con razze autoctone, fortemente adattate alle condizioni limitanti sotto un profilo termico, idrico ed alimentare, e che hanno subito un millenario processo di selezione orientata dal contesto ambientale di riferimento.

Tra habitat di Rete Natura 2000 e razze di interesse zootecnico, in particolare autoctone, vi è una relazione biunivoca ed esclusiva. La conservazione del contesto ambientale è infatti frutto di un esercizio razionale del pascolo, la cui progressiva riduzione si traduce in perdita di habitat e questo, a sua volta, limita la possibilità di conservare in situ popolazioni zootecniche già rarefatte, serbatoio di adattamento al cambiamento climatico, ma già ad alto rischio di erosione genetica.

Il progetto Life GRACE muove pertanto da tale evidenza: gli habitat seminaturali della Rete Natura 2000 sono interessati da progressivi fenomeni di perdita e/o degrado che, con diversa intensità, accomunano l’Appennino Centro Meridionale. In particolare, vengono approfondite le dinamiche attualmente in atto in tre ambiti di Rete 2000 del Lazio: il complesso dei Monti della Tolfa ad ovest, la Montagna Reatina a nord e gli Ausoni-Aurunci a sud.  A parità di habitat presenti nei tre areali, e pur in presenza di complesse dinamiche correlate alle diverse condizioni pedoclimatiche, è il modello di gestione praticato (e quindi il fattore antropico) l’elemento fondamentale che incide sugli habitat seminaturali di Rete Natura 2000 in termini di:

  • conservazione (pascolo razionale gestito secondo carichi ottimali),
  • perdita (abbandono del pascolo);
  • degrado (sovra-pascolo in alcuni casi, ma soprattutto sottoutilizzazione, nella maggior parte dei casi).

Le misure di conservazione che sono state progressivamente messe a punto dall’Autorità ambientale evidenziano, nella quasi totalità dei casi, la dualità del pascolo, presente sempre in termini di opportunità/minaccia, a seconda che esso sia da sostenere - per contrastare la semplificazione che deriva dall’avanzamento del bosco  e dalla chiusura delle radure in quota - o da limitare - per evitare la semplificazione ed il degrado degli assortimenti floristici indotti dal sovrapascolamento.

E’ evidente però che la conservazione di habitat di interesse naturalistico presuppone una contestuale valorizzazione delle produzioni, prioritariamente rappresentate da bovini da carne allevati al pascolo per gran parte del ciclo produttivo, ma anche da equini da carne allo stato brado nei contesti sommitali,  ove non è possibile altra forma di allevamento in relazione a condizioni pedoclimatiche estreme. Il punto è che, ad oggi, nonostante un generalizzato accesso al metodo di produzione biologico, alle misure sul benessere animale e, in alcuni casi, alla certificazione IGP,  il grassfed (l’alimentazione del bestiame a base di erba) praticato nelle aree Natura 2000 non è uno standard di riferimento nella filiera della carne. Una elevata resa alla macellazione è spesso la principale precondizione contrattuale all’atto della vendita di bestiame o carcasse, che viene conseguita mediante periodi di finissaggio tramite una dieta dedicata e più ricca di energia e proteine (minimi per gli allevamenti estensivi rispetto ai modelli dell’allevamento super-intensivo).

L’alimentazione al pascolo non è di per sé una discriminante negli attuali schemi di certificazione delle carni, per la migliore valorizzazione dei capi derivanti da questa tipologia di allevamento estensivo, di assoluto pregio ambientale, etico e di salubrità delle produzioni, e che sarebbe già in perfetta coerenza con le strategie del Green Deal, senza costi specifici di adattamento.

È evidente che gli obiettivi del progetto Life GRACE possono essere raggiunti solo creando sinergie con il sistema produttivo, le sue rappresentanze, il sistema locale (sempre più depauperato di competenze avanzate), i gestori dei demani e le autorità regionali in ambito agroambientale. Per tali motivazioni, il progetto prevede diversi livelli di confronto e di animazione, per i quali si chiede la massima collaborazione possibile, a tutela dell’ambiente, dei consumatori, delle razze a rischio di erosione genetica e delle imprese attive nei contesti rurali più fragili.

Gli obiettivi del progetto Life GRACE

Il progetto si articola in una serie di azioni da sviluppare nei 4 anni di attività (2020-2024), per le quali sono imprescindibili le relazioni, oltre che con le 600 aziende delle aree target, con l’Autorità ambientale, il sistema locale, l’associazionismo e i gestori dei demani collettivi, al fine di conseguire i seguenti obiettivi;

  1. Promuovere la conoscenza delle misure contrattuali nelle aree Natura 2000, da decenni praticate in Europa per il conseguimento delle misure di conservazione degli habitat. Vengono approfonditi numerosi casi di studio con l’obiettivo di replicare le buone pratiche identificate in contesti analoghi nel Lazio e in altre regioni. Le misure contrattuali presuppongono un confronto tra Autorità ambientali e portatori di interesse operanti sugli habitat di direttiva, e vengono tarate sulle specifiche criticità dei territori. Le prime evidenze del progetto Life GRACE attestano la necessità di misure contrattuali sito-specifiche, volte a garantire in primo luogo l'accessibilità dei pascoli in quota, prima ancora che di compensazioni monetarie per azioni positive di conservazione (es. introdurre capi di specie diverse per evitare eccessiva selezione degli assortimenti floristici; regolare i periodi di fruizione in relazione a specifiche fioriture di orchidee, gestire i carichi in maniera ottimale per evitare fenomeni di degrado da sovrapascolamento o sottoutilizzazione, ecc.);
  2. Mappatura degli habitat pascolativi e messa a punto di web-app che consentano agli allevatori di concorrere ai monitoraggi ambientali sullo stato di conservazione degli habitat, per evitare che il costo di monitoraggio renda impraticabile l’integrazione del loro contributo nelle azioni di conservazione dei siti, e con essa la mancata attivazione di misure correlate ad indicatori di impatto;
  3. Analisi evolutiva degli habitat di pascolo e dei carichi: dalle immagini satellitari è possibile ricavare, in maniera puntuale. l’evoluzione intervenuta negli habitat pascolativi negli ultimi 50 anni, con evidenza della loro progressiva riduzione che va accelerando negli ultimi 20 anni, e non solo. Dall’incrocio dei dati delle analisi vegetazionali con le banche dati pubbliche, emerge infatti una rappresentazione di scala territoriale sulle tre aree target particolarmente preoccupante all’attualità. Questo si manifesta in più modi: una quota di non uso che interessa circa il 15% delle superfici di pascolo, non  associato ad alcun fascicolo aziendale e pertanto indicativamente in fase di degrado; una quota di pascolo sottoutilizzato, pari a circa il 20% della superficie, che viene fruita per meno di 0.3 UBA/ettaro (ovvero l’equivalente di 0,3 capi bovini adulti con cui si parametra la pressione animale sul pascolo), una soglia al di sotto della quale l’adesione al biologico non è pagabile, tanto per dare una indicazione di intensità economica. Il 35% della SAU è fruita per meno di 0,5 UBA/ettaro, indicatore di un processo di progressiva disattivazione in quasi la metà delle aziende attive, per le quali l’accesso ad una PAC disaccoppiata ha indotto una progressiva riduzione delle consistenze dei capi in allevamento.
  4. Sensibilizzare i soggetti gestori dei demani collettivi che costituiscono la matrice prevalente degli habitat pascolativi (i demani collettivi, inoltre, sono tutti vincolati a finalità di conservazione ambientale per effetto della legge 168/2017) sulla necessità di operare la gestione e la concessione dei demani con un più marcato orientamento ai target ed agli strumenti di politica comunitaria volti alla conservazione degli habitat di direttiva. La sensibilizzazione del sistema di governo dei demani collettivi è volta a favorire l’adozione di impegni pluriennali, evitare il non uso e la sottoutilizzazione dei pascoli, introdurre elementi di priorità a favore del biologico, dei giovani, della conservazione delle razze autoctone a rischio di erosione genetica, mutuare l’esito del monitoraggio dell’evoluzione in atto sulla vegetazione dei demani collettivi. Tali iniziative assumono valore particolare quando i gestori sono i Comuni quali enti esponenziali dei diritti collettivi, e sono ancora più rilevanti laddove questi sono in forte ritardo nell’adattamento gestionale, già in atto in numerose Università agrarie del Lazio.
  5. Approfondire, mediante analisi di mercato specifiche, le distorsioni della filiera che fanno sì che, accanto ad una progressiva crescita della filiera corta, permanga tuttora una quota decisamente prevalente di capi, sia bovini che di equidi da carne, che vengono valorizzati, spesso previo finissaggio, da operatori commerciali di altri territori, mentre il mercato romano al consumo non conosce le peculiarità salutistiche delle produzioni grassfed  da razze autoctone, ottenute in Area Natura 2000 del Lazio. A fronte della progressiva riduzione dei consumi pro-capite di carne, cresce infatti il peso relativo delle carni suini ed avicole, più spesso associate ad allevamenti intensivi, che pesano ormai per circa 2/3 sul totale, grazie al crescere di un consumo destrutturato,  in particolare per la loro presenza in preparazioni  da banco o in formulazioni di piatti per il consumo fuori casa;
  6. Rafforzare il ruolo dei marchi per le produzioni dei pascoli di Area Natura 2000 e le relazioni con il sistema HORECA, anche mediante l’introduzione di modelli di tracciabilità (blockchain, ecc.) a basso costo idonei a caratterizzare modelli contrattuali condivisi con gli operatori della filiera, dall’allevamento alla distribuzione, nella consapevolezza che modelli di caratterizzazione volontari, che non vengono valorizzati nelle transazioni commerciali, non permettono di veicolare al consumatore finale le valenze ambientali, etiche e salutistiche delle produzioni conseguite in Area Natura 2000 (la GDO copre il 70% del mercato delle carni e tende ad operare autonomamente la valorizzazione della sostenibilità, con modelli di private-label aziendali finalizzati ad internalizzare il plus di prezzo al consumo sulle produzioni etiche a basso impatto), anche in considerazione della radicalità del giudizio di cui è oggetto il consumo di carne, a causa delle criticità indotte dalla esternalizzazione dei costi ambientali (deforestazione, semplificazione colturale nei paesi in via di sviluppo, ecc.).
  7. Implementare i CAM (criteri ambientali minimi) previsti attualmente dal DM 65 del 10 marzo 2020 per gli appalti delle mense pubbliche, rafforzando il ruolo delle filiere locali che possono documentare opportunamente il benessere animale, l’assenza di ricorso ad antibiotici, la pratica del grassfed  per almeno ¾ del ciclo di vita.
  8. Rendere mutuabile in altre aree (Natura 2000 e non) il modello di analisi territoriale che associa studi vegetazionali e database pubblici su uso della SAU, consistenze in allevamento e metodi praticati, così da permettere interventi integrati di sostenibilità ambientale e socio-economica. Una tale valutazione predittiva dei fenomeni in atto permette la predisposizione di iniziative capaci di prevenire l’avanzata del bosco nelle aree di pascolo non fruite o sottoutilizzate, che va consolidandosi come irreversibile rinaturalizzazione, evitando una sostanziale compromissione delle potenzialità di riattivazione delle aree interne.
  9. Sensibilizzare l'opinione pubblica sulle produzioni conseguite in Area Natura 2000, sul ruolo dell'agricoltura estensiva come motore di sviluppo sostenibile e conservazione della biodiversità naturalistica e, con essa, delle razze zootecniche ad alto rischio di erosione. Il progetto Life GRACE intende promuovere le valenze della carne proveniente da Aree Natura 2000, coinvolgendo, tra l’altro, almeno 70 operatori HORECA (ristoranti, agriturismi, ecc.). Parallelamente, il progetto intende sensibilizzare gli agricoltori sulle migliori pratiche da mettere in atto nelle Aree Natura 2000 per migliorare lo stato di conservazione degli agroecosistemi, anche attraverso la nuova programmazione dello Sviluppo Rurale per il quinquennio 2023/27. Il nuovo paradigma culturale dettato dalle strategie europee, in primis quelle dal Produttore al Consumatore (Farm to Fork, F2F) e sulla Biodiversità, rende ineludibile  concertare con gli allevatori la migliore attuazione delle misure di conservazione sito-specifiche per le praterie di interesse comunitario, e prepararli alle azioni di citizen science, ampiamente praticate in Europa, ad esempio nella raccolta di informazioni ed immagini geo-riferite per il monitoraggio della biodiversità naturalistica presente sugli habitat di prateria, il cui monitoraggio da parte di soggetti istituzionali ha costi proibitivi per il sistema pubblico.

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